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testo di Massimo Di Marco

11 dicembre, el Dia del Tango

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Ben Molar
 
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Ben Molar con
Bill Halley e con Borges
 
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Ben Molar con
Chubby Checker e Nat King Cole

tango I ragazzini lo chiamavano «El Rusito» quando si trovavano per giocare assieme nel cortile di quella casa, al 2041 di Calle Mexico, dove erano quasi tutti ebrei. Don León l’aveva scelta nel 1905, quando è arrivato a Buenos Aires ed ha cominciato fortunatamente subito a fare l’imbianchino. Era anche capace di decorare le pareti, come si usava all’epoca, ma questa richiesta non era così frequente. Due anni dopo nella casa è arrivata anche Fanny e così, abbastanza in fretta, sono nati tre figli uno dopo l’altro. Prima Rafael (detto Rafa), poi Raquel (detta Raquelita) e infine, il 3 ottobre 1915, lui: «El Rusito», cioè Moisés Isidoro Smolarchik Brenner.

I bambini non dormivano esattamente l’uno sull’altro ma quasi. Un incremento demografico tanto accelerato non era stato previsto, ora bisognava risparmiare per cambiar casa. E questo è avvenuto nel 1923 quando un carretto ha trasportato tutte le cose nel quartiere di Villa Crespo, in Calle Serrano 148, in una casona di immigrati dove la colonia ebrea era ben affollata. Poi c’erano spagnoli, arabi, francesi e gli italiani. La casona si chiamava «el Conventillo de la Paloma» e aveva una storia germogliata agli inizi del 1900 quando sono arrivati i muratori e hanno cominciato a costruirlo con il proposito di garantire un appartamentino con cucina agli operai della Fábrica Nacional de Calzados, orgoglio del quartiere. Ogni giorno piovevano a Buenos Aires centinaia di emigranti, la città doveva organizzarsi anche per far fronte alle necessità non rimandabili, tipo quella delle scarpe.

Il Conventillo era formato da 4 blocchi, vi si poteva accedere oltre che da Serrano da Thames 139-147. In ogni blocco erano stati ricavati 28 appartamenti (112 in tutto) e nei rispettivi cortili ogni sera c’erano feste, canzoni e balli. Doña Fanny era molto interessata alla musica, alle canzoni di Bing Crosby e Frank Sinatra. Ma non capiva le parole e dava una preferenza al tango. Si allenava anche di giorno spostando i mobili, ballava da sola o con una sedia.

Si è capito, un poco alla volta, che l’intera famiglia aveva una vocazione per le belle arti: la mamma danzava, il papà cercava di trasformare le pareti in quadri, Raquelita cantava come un usignolo (ma non ha mai avuto il coraggio di farlo in pubblico), Rafa faceva parte di una compagnia di attori dilettanti che si chiamava Proscenio.«El Rusito» scriveva le poesie e si accingeva a modificare radicalmente il soprannome. Ciò è successo quando è andato a vendere i semi di girasole tra Corrientes e Gurruchaga. I ragazzini italiani che si trovavano lì per vendere la pizza lo hanno scherzosamente chiamato Poroto, traduzione alla bell’e meglio di Fagiolino.

Raquelita, che si è sempre sentita protettiva nei suoi confronti, andava su tutte le furie quando sentiva che lo chiamavano così, lui non ci faceva caso. Andava a scuola in Serrano 935 e faceva tante cose per raggranellare i soldi. La sua attività più seria è avvenuta in Acevedo, tra Vera e Velazco, dove una signora arrivata dalla Francia aveva aperto una fabbrichetta.

Dipingeva gli occhi e le labbra delle bambole che poi Madame Belstar vendeva ai negozi. Forse in Francia era stata un’aristocratica e le bambole una sua collezione. Aveva un bel portamento e un figlio che sognava di fare l’attore. E’ poi entrato nel cinema col nome di Carlo Dux.
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di Ben Mollar e con Paul Anka
 
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Ben Molar e Tita Merello
 
Ricardo Garcia Blaya

Ricardo Garcia Blaya, Ben Molar, Juan F[1]. Saenz Valiente, Bruno Cespi

Tra la scuola e le bambole non gli restava poi troppo tempo per giocare. Alla domenica gli piaceva andare al cinema. In teoria poteva scegliere tra il Villa Crespo, il Cine Teatro Rivoli o il Cine Teatro Mirne. Ma finiva per andare sempre al Villa Crespo perché qui gli facevano distribuire tra il pubblico i programmi del mese e poi lo pagavano con un biglietto d’ingresso.
In certe domeniche usciva con la mamma. Doña Fanny aveva una cara amica, la Señora Zucker: mamma di Marquitos e a sua volta molto amica della Señora Berta Gardes che aveva conosciuto sulla nave del viaggio a Buenos Aires. Trascinandosi dietro Marquitos e Poroto, che avevano la stessa età, puntavano su una casa al 735 di Jean Jaurés. Non c’era il campanello e non c’era neanche il nome. Una delle due mamme bussava, poi le signore cominciavano a raccontarsela mentre Poroto e Marquitos restavano in strada a giocare. Qualche volta li raggiungeva il figlio, un ragazzone molto più grande di loro che suonava, cantava ed era già diventato Carlos Gardel.

Finità l’età dei giochi, Moisés Isidoro Smolarchik Brenner, ha cominciato a pensare al suo futuro. Gli piaceva sempre scrivere poesie, ascoltare canzoni o musica, si sentiva attratto dalle persone importanti, era un simpatico. Frequentando la biblioteca di Calle Camargo era diventato molto amico del proprietario, Leopoldo Marechal, destinato a diventare un grande della letteratura argentina. In altre circostanze ha fatto amicizia con Raúl Soldi, un famoso pittore che un giorno gli racconterà: « Lo sai che quando tu vendevi i programmi al cinema di Villa Crespo io andavo lì al mattino a spazzare il pavimento? ».E poi con Jaime Yankelevich che faceva i primi passi a Radio Belgrano. Poi è diventato il direttore e poi ha introdotto la televisione in Argentina.

Nel 1937 va a fare il soldato nel Regimiento de Patricios. Il capitano ha imparato a conoscerlo e gli chiede di tradurre in castellano i testi di due canti di Natale: Silent Night di Franz Gruber e Jingle bells di James Pierpont. Nascono così Noche de paz e Repican las campanas che le chiese di Buenos Aires adotteranno felici.
Il destino di Moisés Isidoro Smolarchik Brenner comincia a delinearsi. Gli piace tradurre i testi delle canzoni in castellano e gli piace scrivere le parole dei boleros, quelle canzoni al miele e un po’ strappalacrime (romantiche, insomma) nate a Cuba e poi dilagate nel Centroamerica, addirittura esplose in Messico. Diventa amico dei grandi cantanti del genere, Gregorio Barrios, Leo Marini, Hugo Romani, Pedro Vargas: messicano, il più celebre.

La sua vita ha ormai riferimenti precisi. Tutte le più popolari canzoni del mondo ripassano sotto la sua penna. Non gli viene mai naturale una traduzione letterale del testo ma ha un amico che lo sostiene: «Non aver paura, non è così importante una traduzione letterale quanto un testo nel quale gli argentini si possano riconoscere». L’amico è qualcuno che se ne intende, si tratta di Jorge Luis Borges. Non è davvero un dramma se Strawberry Fields Forever, dei Beatles, nella versione castellana diventa Frutillitas, Fragoline.

Alle traduzioni si unisce una vera e propria attività creativa. Non ha mai perso la sua vena poetica, le canzoni gli vengono facilmente e sono buone canzoni se nel 1942 Paul Misraki giunge a Buenos Aires e gli propone di scriverne una per musicarla e confezionarla nel suo nuovo disco. La risposta assomiglia ad una fuga:

«Non posso immaginare che qualcuno canti una mia canzone, se mi permette ne parlo ad un amico che sta a Parigi, molto bravo, un certo Ben Molar». Paul Misraki riceve il testo, lo trova molto bello e stabilisce con l’autore una collaborazione che andrà avanti tre anni. Fin quando c’è un colpo di scena. Moisés Isidoro Smolarschik Brenner incontra un caro amico, il cantante Gregorio Barrios. Gli fa leggere la strofa di una nuova canzone di Ben Molar. Gli chiede cosa ne pensa. L’amico un po’ ride e un po’ fa l’arrabbiato:
- Adesso ho capito tutto, siete voi Ben Molar !
Non l’ha mai negato e da quel momento è uscito allo scoperto, aveva inventato se stesso. Presto ha moltiplicato la sua attività. E’ diventato manager, impresario ed editore. Ha preso a frequentare l’ambiente del teatro e del cinema. Una sera gli capita di trovarsi al ristorante con un’attrice, Pola Newman. Parlano un po’ di tutto. L’attrice vuol sapere come mai non si sia ancora sposato o almeno fidanzato. Ben Molar risponde così:
- Lo farò, capiterà anche a me, ma sicuramente non mi metterò mai con una cantante o con un’attrice, sono sempre di tutti.
E poco tempo dopo Pola Newman è diventata sua moglie, la vita è così imprevedibile!
Tra Ben Molar (pseudonimo trovato tra gli antichi nomi ebraici) e la musica romantica o il jazz c’era un rapporto consolidato. Ma con il tango?

Diceva di non saperlo ballare, così come non cantava perché non ne era capace. Si sa che era conosciuto nell’ambiente del tango perché frequentava alcuni famosi musicisti. Ed anche i cantanti, tipo Azucena Maizani con la quale una notte aveva ricamato qualche passo in un bar. Un tango intero sembra l’abbia ballato con Maria del Carmen, la ballerina-moglie del grande Cachafaz. Forse ballava di nascosto, chissà. Un giorno ha ballato il tip-tap alla televisione, quando era ancora in bianco e nero. Insomma di certo sapeva muoversi.
La sua cultura tanguera, appresa dai libri e dal vivo, veniva spesso verificata dal suo amico Borges che andava a trovarlo per ascoltare assieme una milonga. Poi andavano a spasso per Buenos Aires. Era una medicina poiché il medico gli aveva prescritto una passeggiata di almeno due chilometri al giorno. Ben Molar lo accompagnava e strada facendo gli raccontava il tango: «Qui ha vissuto Tita Morello a quindici anni, qui Troilo, qui Pedro Laurenz…». Conosceva perfettamente le stesse radici del tango e anche l’incrocio tra il tango e il lunfardo.

Un grande amico di Ben Molar era anche Julio De Caro. L’11 dicembre del 1965 è invitato a casa sua, tra Callao e Guido, per festeggiare i suoi 66 anni. Scende in strada ad aspettare il taxi e all’improvviso pensa a questa strana coincidenza: l’11 dicembre è anche il giorno in cui è nato Carlos Gardel. Gardel è la «Voce», Julio de Caro è la «Musica». Allora ce n’è abbastanza per dire che l’11 dicembre è «el Dia del Tango».

L’idea gli piace troppo. Pochi giorni dopo incontra Ricardo Freixà che è il Segretario alla Cultura della Municipalità di Buenos Aires e gli presenta la proposta. Freixà non sembra contrario ma gli chiede che la proposta venga sostenuta dalle istituzioni del tango: enti, società, associazioni. Nessun problema. Ben Molar raccoglie le adesioni e gli consegna l’elenco richiesto.

 

L’idea è approvata da tutti:
Accademia Porteña del Lunfardo
Argentores (Argentine General Society of Authors)
Asociación Amigos de la Calle Corrientes
Asociación Argentina de Actores
Casa del Teatro
Fundación Banco Mercantil
La Gardeliana
Radio Rivadavia Sadaic (Sociedad Argentina de Autores y Compositores de Musica)
Sade (Sociedad Argentina de Escritores )de Artistas de Variedades
Sindacato Argentino de Musicos
Unión Argentina

L’elenco dovrebbe essere sufficiente poiché comprende l’intero mondo creativo del tango e persino i simpatizzanti. Però Ricardo Freixà dorme. Non c’è giorno che Ben Molar non lo solleciti di persona, con una telefonata o una lettera. E’ così per 11 anni. Dal 1966 la scena si sposta nell’inverno del 1977. Mancano poche settimane all’11 dicembre e Ben Molar chiede a Ricardo Freixà un nuovo incontro. E’ decisivo. Gli dice che è l’ultima volta e che l’11 dicembre organizzerà un grande Festival del Tango al Luna Park e lì proclamerà El Dia del Tango davanti alle televisioni e ai giornali.

Il Luna Park è il tempio del pugilato e il gestore è una specie di mito, si chiama Tito Lectoure, conosciuto in tutto il mondo come Tito e basta. Ben Molar gli spiega quello che vuole fare.
- Sì, è una bella cosa. Ma secondo me qui arrivano al massimo tremila persone, è poco.
- Invece secondo me lo riempiamo.

La discussione continua ma poi la decisione è presa: ok, rischiamo.
Il Luna Park tiene da 12 a 15 mila persone. Dipende da un mucchio di cose: se hanno il cappotto, se hanno l’ombrello, se si stringono, se le poltrone per i Vip sono tante o poche. Feixà aveva letto tra le righe nell’ultimatum di Ben Molar qualcosa che lo avrebbe messo in pericolo. Tipo «Guarda che io questa inutile agonia di undici anni te la faccio pagare…». Pensa che sia molto meglio evitare. Il 29 novembre dice a Ben Molar di raggiungerlo nel suo ufficio. Quando arriva gli racconta che non è mai stata colpa sua e che questa volta ha picchiato i pugni sul tavolo e ce l’ha fatta. L’11 dicembre viene proclamato Dia del Tango con il decreto numero 5830/77 della Municipalità di Buenos Aires. Il successo del Festival è strepitoso. Sono schierate le orchestre più celebri, i cantanti più famosi, i migliori ballerini. Allo spettacolo assistono 14.500 persone che festeggiano i 78 anni di Julio De Caro.
A questo punto Ben Molar vuole qualcosa di più: non gli basta El Dia del Tango, adesso vuole El Dia Nacional del Tango. In questo modo vuole evitare che ogni città o ogni provincia proclami una data diversa dall’altra, un po’ come già stava succedendo per la Festa della Mamma.
Ne parla al dottor Raúl Alberto Casal, Segretario di Stato della Cultura de la Nacion. Le cose vanno bene, benissimo. Il dottor Casal gli chiede di organizzare uno spettacolo di tango al Teatro Cervantes. Ben Molar accetta ma in cambio vuole il decreto. Lo spettacolo, simile a quello del Luna Park, avviene il 23 dicembre.
Ad un certo punto si accendono tutte le luci e Ben Molar proclama al microfono che l’11 dicembre è el Dia Nacional del Tango, lo ha dichiarato il Governo con il decreto n° 3781/77 del 19 dicembre. Aleluja!

Ben Molar può collocare questa grande vittoria accanto a quella del 17 novembre del 1966 quando è apparso sul mercato un disco senza precedenti: per la prima volta al mondo un disco con 14 pezzi anziché i soliti 12, considerato un limite tecnico da tutte le Case del ramo. Il titolo sembrava una stranezza, 14 con il Tango. In realtà si trattava di un monumento all’arte, entrato a vele spiegate nella cultura argentina.
Lasciamo il Luna Park e torniamo indietro, è un altro tuffo tra il 1965 e il 1966 quando a Buenos Aires il tango tocca i suoi minimi storici. E’ schiacciato da una specie di censura, i giovani sono orientati verso altre forme musicali (soprattutto il rock) e i non giovani disertano le sale da ballo per non apparire antichi. Le Compagnie discografiche finanziano le emittenti radiofoniche affinché trasmettano la musica americana, la RCA distrugge addirittura le matrici dei dischi di tango ritenendolo ormai finito. Poi se ne pentirà ma intanto è così. Radio Colonia è rimasta sola a trasmettere tanghi, qualche orchestra si è sciolta, qualche tanguero ha cambiato le sue notti. In questa desolazione generale due amici – riecco Ben Molar e Borges- pensano ad una crociata per risuscitare il tango dal torpore che ha spento tutto il suo mondo. Borges dice:
- Non è un’impresa impossibile, ogni argentino è un tango anche se non lo sa…
Ben Molar ha un’idea forte. Il tango non è il rock, dentro di sé rivive ogni giorno la storia di Buenos Aires degli ultimi novant’anni. Il tango deve rinascere in tutta la sua dignità e la madre questa volta sarà l’arte. Questo è il pensiero con il quale si rivolge prima a 14 poeti, poi a 14 musicisti, infine a 14 pittori: saranno 42 artisti a restituire al tango la sua vita. Tutti sono d’accordo, i giornali, la radio, la televisione cominciano a parlare del progetto. I dischi di tango riappaiono nei negozi, le milonghe riaprono. Adesso Ben Molar deve riuscire a produrre un disco con 14 tanghi. Ma come si fa, e poi perché proprio 14?
- Perché quattordici sono i versi di un sonetto…
Ha voluto che persino il numero della rinascita non fosse casuale ma preso dalla struttura tecnica di una poesia. E per risolvere il problema del disco indaga in tutta Buenos Aires, trova il miglior tecnico del ramo: si mettono a pensare ed a lavorare in un laboratorio fin quando ne escono con la soluzione.Si può fare.
C’è un ultimo problema. Anibal Troilo che è abbinato a Ernesto Sabato non ha ancora scritto la sua musica e non c’è più tempo. Troilo sta suonando al Relieve, un ristorante tra Florida e Diagonal. Prenota un tavolo per due e ci va con il poeta. A metà serata prende in disparte Troilo per un attimo
- Se non mi consegni il tango che spero tu abbia già scritto perdo il turno e la Casa discografica mi farà aspettare un anno…
- Non l’ho scritto…
- Ma io non ci credo…
- Si, mi dispiace…
- Tutto il mio progetto va in fumo, volevo un disco con quattordici pezzi, non tredici..

- E poi – dice Sabato – come si può pensare che manchi proprio il tango di Troilo?
- D’accordo, non l’ho scritto ma non ho detto che non lo scriverò - Ma quando? - Dopo… Verso le due Troilo ha finito di suonare.
- Io vado a casa, venite con me

Sull’angolo di Belgrano 1600 c’è un bar che non chiude mai. Ben Molar ed Ernesto Sabato si siedono ad un tavolino e cominciano bere un caffé dopo l’altro per stare svegli. Alle sei Troilo entra con in mano il nuovo tango, si chiama Alejandra. Ha l’aria piuttosto mortificata
- Scusate il ritardo…
Ben Molar qualche ora dopo è in sala di registrazione dove l’orchestra, riunita rapidamente, sta aspettando. Il disco esce il 17 novembre ed è l’evento più scoppiettante del 1966. Tutti tornano a ballare, le scuole di tango riaprono. Borges e Ben Molar si incontrano e fanno un brindisi. Borges con il mate, Ben Molar con il the versato in un bicchiere con dentro tre cubetti di ghiaccio, il suo whisky preferito…
Dopo la resurrezione del tango e la proclamazione dell’11 dicembre Ben Molar ha una nuova idea: grande. Propone che lungo l’Avenida Corrientes e ai suoi incroci, le famose esquinas, venga posata una targa a ricordo di un personaggio del tango, non necessariamente scomparso.
- Ricordiamo chi è salito in Cielo ma non dimentichiamo chi è vivo ed è vicino al nostro cuore…
L’Asociación Amigos de la Calle Corrientes è l’organizzazione che si occupa delle targhe. Sono placche in bronzo 80 x 50. La prima viene posta il 7 luglio 1979 all’altezza del numero 922, è la casa dove ha vissuto per 40 anni. Adesso ce ne sono quaranta ma non sono sole perché altre associazioni, banche, istituzioni di ogni tipo hanno pensato di partecipare con targhe, iscrizioni, monoliti. Corrientes è diventato il libro del tango, ormai quasi ogni casa è una pagina. Ben Molar ha 93 anni, il suo studio in Montevideo è un museo del tango. Come si entra si passa attraverso i busti in bronzo di Borges e di Sabato, alle pareti c’è tutta una tappezzeria di spartiti, pagine strappate dalle riviste, fotografie, copertine, ritagli di giornale. E’ il mito di Buenos Aires, custode di tutti gli altri miti che hanno creato il tango.
Il Conventillo de la Paloma non è più abitato da tempo. Nel 1929 Alberto Vaccarezza l’ha portato sul palcoscenico con un lavoro teatrale che ha avuto come protagonista Libertad Lamarque, cantante e attrice. Mille rappresentazioni, oltre tre anni di un successo inarrestabile che ha poi originato un film, uscito nel 1936.
Qualche tempo fa era apparsa sui giornali la notizia che il Conventillo sarebbe stato demolito ma questa intenzione è sbollita in fretta. Anzi, non sarà mai demolito perché la Municipalità di Buenos Aires l’ha proclamato Monumento della Città.
Che colpo di scena, come mai questo ripensamento ? Ben Molar guarda la vita di Buenos Aires che scorre davanti alle finestre del suo studio. Sorride sotto i suoi baffetti, gli occhi pieni di luce, lo sguardo di un uomo buono, geniale, artista.

( mdm- Dicembre 2008)

 
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