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Io e il tango scritto

Massimo Di Marco
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Massimo Di Marco e Graziella

Massimo Di Marco e Graziella
in un canyengue
disegnato a Milano alla Casa del Tango da un celebre pittore sul rovescio del cartoncino
"tavolo riservato"


Sono un giornalista sportivo con un passato da editore. A 11 anni ho pubblicato "Il giornale della casa". La tiratura di 4 copie è andata a ruba e questo successo é stata la scintilla. A scuola i temi d'italiano sono stati la mia unica attrazione. Li scrivevo come se fossero articoli, cosa non sempre gradita, perciò i miei voti viaggiavano tra il 4 e il 7+, a seconda degli umori. Il mio primo articolo è stato la descrizione di un incendio che i pompieri hanno spento in un minuto per cui il giornale l'ha ridotto a quattro righe. Una specie di Ansa dello sport cercava ragazzi da avviare al giornalismo e così ho visto da vicino tutti gli sport del mondo. Presto la passione si è tagliata in due, da una parte la macchina per scrivere e dall'altra il ballo. Le due sorelle si sono sempre volute bene. Nel 1996 ho letto su un giornale la pubblicità di una scuola di tango argentino e così sono andato a dare un'occhiata nella tana di Marina Fuhr, una maestra argentina arrivata da Rosario che aveva trovato ospitalità nella scuola di danza classica di Walter Venditti, alla periferia di Milano. Mi ha intrigato l'intreccio tra la tecnica e la possibilità espressiva delle movenze. Ho voluto provare e ho abbandonato tutti gli altri balli. Mia moglie, Graziella, ha detto che mai e poi mai si sarebbe dedicata allo stesso ballo per tre o quattro ore.
Così Marina Fuhr è diventata oltre che la mia maestra, la mia ballerina. Ho ballato il mio primo tango dopo due anni di scuola (invitato da una ragazzetta che mi ha detto "mi permette questo ballo"?).
Era un tango diverso da quello di oggi e altrettanto diverso il metodo d'insegnamento. Un mese di promenade, un mese per il cambio di direzione, un mese per il molinete e le sue varianti. Ogni tanto uno stage: con Osvaldo Roldan, Walter Cardoso, i Dinzel, Osvaldo Zotto, Susana Miller.
Marina aveva la sua milonga in Piazza Carbonari, sotto un prato. Si chiamava L'Acqua Potabile (non era grande) e tutti i mercoledì era zeppa. Per ballare era obbligatoria la buena ronda ( non deviare od oscillare sulla linea di ballo) e a nessuno veniva in mente di fare un passo all'indietro. Le donne si limitavano al voleo basso.

Era un tango con tutti i suoi codici. Colto, un' icona di libertà che voleva rappresentare una società un po' arrabbiata, schierata dalla parte di qualsiasi corrente artistica. A Milano le milonghe erano pochissime: il Tangoy, l'Arcibellezza. I disc-jockey erano volontari. All'Acqua Potabile c'era un argentino, Marcello, che cominciava con Troilo e finiva con Piazzolla osservando scrupolosamente il cammino del tango negli anni. Il tango più struggente era Vuelvo al sur. Faceva nascere un'atmosfera speciale di musica e di passi che sfioravano le piastrelle.
Marina Fuhr e il tango facevano parte della medesima entità. Eccellente ballerina, eccellente insegnante, una coreografa magica. Le sue lezioni erano anche parlate. Un giorno mi ha detto:" Cerca di ballare immaginando la Buenos Aires di quell'epoca". Ma com'era in quell'epoca Buenos Aires?
Ho cominciato a frugare tra i libri che facevo arrivare dall'Argentina ed é stato in questo momento che le due passioni si sono sovrapposte. L'inizio é stato un libretto (Passi Argentini) che Marina dava ai suoi allievi. Poi ho scritto El Cachafaz, un libro che rievoca il tanguero ritenuto il migliore sino al 1942, quando non si é più rialzato dal patio di una milonga dove aveva appena finito un vals. Molte cose me le ha raccontate Carmencita la sua mitica ballerina scomparsa a 101 anni.

Poi nello stesso anno in cui è iniziato Tangocaffe (il 2002) ho incontrato Carlos Gavito che ho frequentato per alcuni mesi. E' stata la sintesi di tutto quello che avevo imparato (ballo, ricerche, libri) e la rivelazione di un tango che toccava il culmine di tre minuti d'intimità, in quella famosa fusione che si è poi chiamata unicità. Graziella nel frattempo si era convertita con un sorprendente e spettacolare ingresso di mezzanotte in cima alle scale di una milonga a Porta Ticinese. Gavito ci ha dato delle lezioni soltanto parlando e noi abbiamo ascoltato, strada facendo, le pulsazioni del suo cuore come in un sogno dove il tango si elevava a spiritualità e purezza. Un'esperienza lunare.

Un altro personaggio fanastico é stato Daniel Pacitti con il quale abbiamo fatto degli spettacolini al Bar del Tio, in Piazzale Bacone. Veniva dalla musica lirica e classica ma il tango l'ha preso in prestito. Dal suo bandoneón usciva quella stessa poesia che Gavito aveva nell'anima. La saletta non teneva tanta gente, cinquanta o sessanta, compresi quelli che restavano sulle scale. Erano tutti travolti dal genio di Pacitti e molti mi dicono che dopo quelle serate hanno deciso di imparare il tango. Ora Pacitti si divide tra il tango e Mozart (o dintorni), un po' bandoneónista e un po' direttore d'orchestra.
L'amicizia con Luis Castro e Claudia Mendoza mi ha successivamente legato al tango con nuove corde.
Tutti i personaggi che ho citato e probabilmente dimenticato ( El Pibe Sarandi , Ricky Barrios, Marcelo Alvarez ad esempio) sono i creatori di quei momenti di tango in cui ci dimentichiamo del mondo che "c'é fuori". E' fantastico il contributo che hanno dato alla trasformazione in arte di un ballo popolare.
Grosso modo questa è la mia storia col tango. Tutti questi ricordi che ora si ammucchiano mi hanno suggerito lo scopo di raccontare il tango così come è nato, in una povertà che comunque individuava tra i passi, il trasporto del bandoneón, la leggerezza dei violini e la poesia cantata, una sua ricchezza. La cultura del tango non é soltanto un'enciclopedia di nomi, titoli e piccole o grandi storie. E' soprattutto l'offerta di cogliere nella sua semplicità le emozioni che ci abbelliscono la vita nella comunità della milonga. Attraverso la storia di Gavito (scritto con Monica Fumagalli), il ritratto di Gavito-artista e un altro libro dedicato a Eduardo Arolas si é affermata l'intenzione di disegnare l'infinita bellezza del tango con le parole. Dentro questo progetto c'é anche la motivazione di Tangocaffe, un luogo inventato ma anche reale dove esplorando l'universo di questo ballo (meglio dire danza) è possibile condividere palpiti e stupori. Insieme così, come al caffè.

Massimo Di Marco

 

 
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